Petra, Giordania, un gioiello archeologico di inestimabile bellezza, capace di portarci indietro nel tempo con i suoi 800 monumenti scavati nella roccia. Essa è posta su un altopiano e su un letto di torrente diventato simile a un canyon. Ha la fortuna di essere circondata da alte montagne e quindi di essere una ROCCAFORTE naturale per eventuali ATTACCHI stranieri, ma è anche ricca d’acqua poiché il sito è solcato da 3 torrenti, di cui Wadi Musa è il più importante. Verso la fine del IV secolo a.C. vi si stabilirono i NABATEI, ovvero un popolo nomade di pastori che vivevano all’aria aperta. Allevatori di cammelli oltre che commercianti di spezie, riuscirono a sopravvivere anche grazie alla loro capacità di scavare riserve d’acqua sotterranee, lontano dagli occhi indiscreti degli altri popoli [1]. Non insediarono subito Petra, ma lo fecero nel I secolo a.C. creando un’originalissima CITTÀ DEL DESERTO, fatta di monumenti scavati nella roccia [2].
Petra diventò una delle città più ricche e più famose del Vicino Oriente, ma in epoca bizantina ebbe il suo declino e fu dimenticata per secoli [3]. Se oggi abbiamo l’opportunità di visitare Petra è grazie alla scoperta dell’esploratore svizzero Ludwig Burckhardt, che nel 1812 giunse in Giordania TRAVESTITO da pellegrino mussulmano (erano tempi difficili per gli esploratori!) e seguendo il letto del torrente Wadi Musa scoprì la città antica. Tuttavia dovette attraversare la buia e stretta gola chiamata Siq [4], ossia una spaccatura prodotta dalle forze tettoniche, che potrebbe assomigliare ad un canyon.
Così come per l’esploratore, anche il nostro viaggio quindi inizia penetrando nel Siq, una GOLA lunga circa 2 km caratterizzata da strette pareti, alte fino ad arrivare a quasi 200 metri, che serpeggia verso la città antica. Lungo le sue pareti vi sono ancora oggi molte nicchie destinate a contenere sculture o rappresentazioni (dette baetyl) della più importante divinità nabatea, Dushara. Quindi questo ingresso aveva per i nabatei un certo VALORE SPIRITUALE poiché rappresentava una sorta di preparazione alla visita di templi e santuari nella sublime città sacra [5].
A un certo punto, alla fine di questa gola, si arriva al primo scorcio del El Khasneh Al Faroun, chiamato IL TESORO poiché secondo la leggenda un faraone egizio nascose qui il suo tesoro (nell’urna sulla facciata) mentre era impegnato a combattere gli israeliti [6]. Un palazzo alto quasi 40 metri, caratterizzato da una facciata ellenistica, avvolto da fascino raffinato ed armonioso che donano una certa SUGGESTIONE a chi lo osserva. La sua costruzione risale probabilmente tra il 100 a.C. e il 200 d.C. e forse è la tomba del re nabateo Areta III, vissuto tra l’87 e il 62 a.C. Infatti, all’interno dell’edificio vennero trovate 4 camere di sepoltura con all’interno 11 scheletri e si comprese che si trattava di un monumento funerario scavato allo sbocco della stretta gola di Siq e caratterizzato da una facciata monumentale [7].
Subito dopo il Tesoro seguiamo il percorso del nostro “SERPENTE” Siq e alla fine di esso arriviamo ad un’altra bellezza del passato ossia al TEATRO, realizzato nella parete rocciosa del Zibb Atuf. Esso fu costruito oltre 2000 anni fa scavando nella roccia, ma originariamente vi erano delle tombe rupestri poi andate distrutte [8]. L’impianto dell’edificio è tipicamente romano anche se elementi come: il drenaggio delle acque o i dettagli delle decorazioni architettoniche sono locali. Un luogo che in precedenza conteneva 3.000 persone ma, dopo la conquista romana del 106 d.C., è stato ampliato fino ad accogliere circa dai 7000 agli 8000 spettatori. Con il terremoto del 363 d.C., alcune parti del teatro furono danneggiate e vennero costruite delle case e chiese [9].
Proseguiamo la nostra scoperta a valle del Teatro salendo una scalinata ed arrivando al grande massiccio del Jebel Al Khubtha, dove troviamo le cosiddette TOMBE REALI. Vediamone qualche esempio. La tomba dell’URNA fu edificata nella seconda metà del I secolo a.C. per il re Areta (morto nel 40 d.C.) e per suo figlio Malichus (deceduto nel 70 d.C.). Essa è caratterizzata da una terrazza e un porticato in stile dorico intagliato nella roccia ma nel 447 d.C. venne trasformata in una cattedrale e poi, in epoca bizantina, fu aggiunto il doppio ordine di volte.
Altro gioiello archeologico è la tomba del PALAZZO, chiamata così perché i ricercatori del XIX secolo la associavano ai palazzi di epoca ellenistica, paragonata alla Domus Aurea dell’imperatore Nerone, mentre le decorazioni della facciata sono originali, tipiche di questo popolo [10].
Un'altra tomba appartenente a questo complesso fu quella dedicata a SESTO FIORENTINO, un governatore romano d’Arabia, realizzata tra il 126 e il 130 d.C. Gli fu dedicata una tomba per via delle sue imprese citate nell'iscrizione sopra l'ingresso [11].
Entriamo nel CUORE DI PETRA la cui via principale, detta STRADA COLONNATA, fu costruita nel 106 dopo la conquista romana e su una vecchia strada nabatea. La via si estende per quasi 300 metri ed è larga 6 metri, costeggiata da imponenti colonne di arenaria rivestite di marmo [12]. Essa fungeva da ingresso monumentale per mercanti e carovane che un tempo arrivavano nella città sacra [13]. In origine, in questa parte si trovava una fontana pubblica dedicata alle ninfe e realizzata nel II secolo, probabilmente per raccogliere le acque provenienti dal Siq [14].
Procediamo il nostro viaggio e, in alto fra le colline, troviamo nascosto Al-Deir, ovvero il MONASTERO. Un gioiello archeologico scavato nella roccia, molto simile al palazzo del tesoro che abbiamo visto prima ma molto più grande. Esso fu edificato dai nabatei circa tra il II e il I secolo a.C. per essere la tomba del re Obodas, deceduto nel 85 a.C. Il fatto che venga chiamato “monastero” è perché al suo interno sono state ritrovate diverse croci scolpite durante il periodo bizantino. Mentre il cortile che si trova davanti all’edificio era circondato da colonne, forse veniva usato per i rituali sacri [15].
Come abbiamo visto Petra racchiude una ricchezza storica, culturale e artistica invidiabile, degna di far parte dei siti riconosciuti dall’UNESCO dal 1985 come Patrimonio Mondiale dell’Umanità, ed è entrata nella lista delle Sette Meraviglie del Mondo. D’altro canto sono consapevole che quello che ho scritto in questo articolo non è sufficiente per descrivere a pieno la sua bellezza ma basta per dimostrare come l’essere umano, anche in condizioni di vita sfavorevoli come il deserto, sia quasi sempre in grado di adattarsi all’ambiente che lo circonda.
Alla prossima.
Aria Shu
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Note dell’articolo: bibliografia libro.
[1] Carpi, W., Vidale, M., Medio Oriente, vol. VI, Fabbri Editori nella coll. Antiche Civiltà, Milano, 2005, pp. 105-106.
[2] Carpi, W., Vidale, M., Medio Oriente, vol. VI, Fabbri Editori nella coll. Antiche Civiltà, Milano, 2005, p. 118.
[3] Carpi, W., Vidale, M., Medio Oriente, vol. VI, Fabbri Editori nella coll. Antiche Civiltà, Milano, 2005, p. 101.
[4] Carpi, W., Vidale, M., Medio Oriente, vol. VI, Fabbri Editori nella coll. Antiche Civiltà, Milano, 2005, p. 101.
[5] Carpi, W., Vidale, M., Medio Oriente, vol. VI, Fabbri Editori nella coll. Antiche Civiltà, Milano, 2005, p.118.
[6] Polidoro, M. & Bongiorni, F., Atlante dei luoghi misteriosi dell’antichità, Bompiani, Milano, 2020, p. 77.
[8] Polidoro, M. & Bongiorni, F., Atlante dei luoghi misteriosi dell’antichità, Bompiani, Milano, 2020, p. 78.
[9] Carpi, W., Vidale, M., Medio Oriente, vol. VI, Fabbri Editori nella coll. Antiche Civiltà, Milano, 2005, p. 120.
[12] Carpi, W., Vidale, M., Medio Oriente, vol. VI, Fabbri Editori nella coll. Antiche Civiltà, Milano, 2005, p. 119.
[13] Polidoro, M. & Bongiorni, F., Atlante dei luoghi misteriosi dell’antichità, Bompiani, Milano, 2020. p. 78.
Fonti articolo:
Carpi, W., Vidale, M., Medio Oriente, vol. VI, Fabbri Editori nella coll. Antiche Civiltà, Milano, 2005.
Polidoro, M. & Bongiorni, F., Atlante dei luoghi misteriosi dell’antichità, Bompiani, Milano, 2020.
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